Ho visto un uomo sul palco con la mia stessa voglia.

— Ignorando le proteste di mia madre, sono corso da lui gridando: “Papà, sei tu?”
Avevo otto anni quando pensai di aver trovato mio padre.
Era un pomeriggio come tanti, in cui io e mia madre andavamo al centro commerciale solo per passeggiare e guardare le vetrine, senza comprare nulla. Non avevamo soldi, ma lei mi comprò un gelato. Poi ci avvicinammo a un palco dove si stava svolgendo un concerto di beneficenza a favore degli anziani colpiti da un uragano.
Fu lì che lo vidi.
Appena salì sul palco, rimasi senza fiato. Sembrava così familiare. Camminava con sicurezza ma con gentilezza, e quello che mi colpì più di tutto fu la piccola voglia sul mento, identica alla mia.
«Mamma! Mamma! Guarda! È lui! È il mio papà!»
Mia madre si voltò tranquilla, ma quando vide chi indicavo, impallidì.
«Nathan», disse con voce tesa. «No.»
Ma ormai era troppo tardi. Nella mia mente di bambino, quell’uomo era mio padre, e non volevo perderlo.
Corsi attraverso la folla, salii sul palco e gli afferrai la giacca.
«Papà… sei davvero tu?» chiesi con voce tremante.
Lui si accovacciò, mi guardò negli occhi e poggiò una mano calda sulla mia.
«Parleremo tra poco, va bene?» rispose dolcemente.
Quando scese dal palco, gli corsi di nuovo incontro.
«Sei il mio papà?» domandai sottovoce.
Non rispose subito. Guardò mia madre.
«Mi scusi… ci conosciamo?» le chiese con cautela.
«Mi dispiace, signore. Dobbiamo andare», disse lei.
Ma lui non lasciò correre.
«Possiamo parlare in privato?»
Una volontaria si avvicinò per portarmi via mentre loro parlavano.
«Vieni, tesoro, lasciamoli un po’ soli», mi disse. «Mio nipote ti somiglia tantissimo!»
Non volevo allontanarmi, ma lo sguardo di mia madre mi fece capire che dovevo obbedire.
Quella notte non riuscii a dormire.
Mi rigirai nel letto, guardando la striscia di luce sotto la porta: mamma era ancora sveglia.
«Mamma?» la chiamai.
«Lo rivedrò ancora?»
Sospirò.
«Sai, Nathan… queste cose sono complicate.»
«Lo conosci?» chiesi, aggrottando la fronte.
«No, tesoro», rispose. «Ma è stato molto gentile.»
Non disse no. E per me, quel piccolo spiraglio di speranza bastava.
Qualche mese dopo, mamma mi disse che sarebbe passato un amico.
Non ci feci caso, finché non si aprì la porta… ed entrò lui.
«Ciao Nathan», disse sorridendo. «Io sono Steven.»
Da quel giorno, entrò nella nostra vita. Ci portava a eventi di beneficenza, cucine popolari, rifugi per animali. Poi sposò mia madre, e quando si trasferì da noi, sembrava che fosse sempre stato parte della nostra famiglia.
Ma la verità la seppi solo dieci anni dopo, il giorno del mio diciottesimo compleanno.
Mamma e Steven mi fecero sedere.
Si tenevano per mano, uniti.
«Steven non è il tuo padre biologico», disse mamma.
Li guardai, confuso.
«Allora perché non te ne sei andato quel giorno al centro commerciale?» chiesi.
Steven mi sorrise.
«Ti ho visto… e non ce l’ho fatta ad andarmene. Non volevo essere quel tipo di uomo. Anche se non ero tuo padre di sangue, volevo esserci.»
«Mi disse», aggiunse mamma, «che non voleva sostituire nessuno, né mentirti. Voleva solo esserci. Darti ciò di cui avevi bisogno, nel modo in cui tu ne avevi bisogno.»
Steven non ci ha mai lasciati. Da quando lo abbiamo incontrato, è sempre stato lì, ogni giorno.
Quel giorno al centro commerciale, credevo di aver trovato mio padre biologico.
Ma il destino mi ha regalato proprio il padre di cui avevo davvero bisogno. ❤️