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Dopo un parto rischioso, mio marito ha cacciato me e nostra figlia per colpa di sua madre e di un test falso.

Avevo sempre sognato che avere un bambino ci avrebbe uniti di più. Ma mia suocera aveva altri piani. Controllava ogni cosa, e Bill glielo permetteva. Cercai di mettere dei limiti, ma niente mi aveva preparata al tradimento che mi lasciò in piedi sulla porta, con la mia neonata tra le braccia.

Quando scoprii di essere incinta, ero la donna più felice del mondo. Bill e io lo avevamo desiderato per anni.

Ma non ero l’unica ad aspettare quel bambino. Jessica, la madre di Bill, si era presa quella gravidanza come se fosse sua. E da quel momento, la mia vita divenne un incubo.

Non mi aveva mai sopportata, e nemmeno cercava di fingere.
«Bill merita di meglio», ripeteva con disprezzo.

Ma quando venne a sapere della gravidanza, iniziò a intromettersi in tutto: appuntamenti medici, scelta dei mobili, colori della stanza.
«La cameretta deve essere blu. Sarà un maschio.»

Avevo nausee continue, ero sfinita. Jessica, però, veniva ogni giorno con cibo pesante che Bill adorava, ignorando completamente il mio stato.

Le chiesi più volte di non coinvolgerla. Ma quando andammo a fare l’ecografia per scoprire il sesso, la trovammo lì, già seduta in sala d’attesa.
«È una femmina», disse il medico.

Ero emozionata. Ma Jessica serra le labbra.
«Non sei riuscita a dargli un maschio. Aveva bisogno di un erede.»

«L’erede per cosa? La sua collezione di videogiochi?», risposi.
«E comunque è il padre a determinare il sesso del bambino.»

Jessica scattò:
«È il tuo corpo che non funziona. Non sei mai stata la donna giusta per lui.»

Quando tornammo in macchina, chiesi:
«Come sapeva dell’appuntamento?»

«Gliel’ho detto», rispose Bill.

«Ti avevo pregato di non farlo!»
«È la nonna.»

«E io sono tua moglie!»

Quando iniziarono le contrazioni, tutto accadde troppo in fretta. Arrivammo in ospedale appena in tempo. Ero pallida, tremante. I medici portarono via mia figlia subito dopo il parto. Non mi lasciarono nemmeno vederla.

«Per favore», sussurrai, «dammi mia figlia.»

«Stai perdendo troppo sangue!» gridò il dottore.

Svenni.

Quando mi svegliai, ero fredda, vuota, debole. I medici dissero che ero sopravvissuta per miracolo.

Poi la porta si spalancò. Jessica entrò infuriata.
«Non mi avete nemmeno detto che eri in travaglio!»

Un’infermiera portò mia figlia. Ma Jessica la prese tra le braccia prima che io potessi farlo.
«Che bambina adorabile», disse, sorridendo con malizia.

Mi sforzai di alzarmi:
«Voglio allattarla.»

«Allora non me la lascerai mai!», sbraitò.

Bill, finalmente, prese la bambina e me la porse. Appena l’abbracciai, scoppiai in lacrime.

Ma Jessica non si fermò. Continuava a chiamare mia figlia “la piccola Lillian”.
«Si chiama Eliza», risposi. Ma nessuno la correggeva.

Un pomeriggio, tornò con una busta in mano.
«Ho delle prove. Carol ti ha tradito», disse a Bill.

Dentro c’era un test del DNA.

Bill lo lesse e il suo viso si fece scuro.
«Tu e la bambina dovete andare via. Subito.»

«Quella prova è falsa!», urlai.
Jessica sogghignò:
«Bill merita una vera moglie. Una che mi dia un nipote.»

Raccolsi le cose di Eliza tra le lacrime, tremando. Prima di uscire, presi lo spazzolino di Bill.

Mi rifugiai da mia madre. Quando le raccontai tutto, pianse con me.

Dopo qualche giorno, tornai da Bill. Gli consegnai una busta.
«Questo è il vero test. Ho usato il tuo spazzolino.»

Lo aprì.
«99,9%.»

«Eliza è tua figlia.»

«Mi dispiace tanto, Carol», disse.

«No.»

«Voglio che torniate. Ho sbagliato.»

«Non ti meriti di essere suo padre. Hai creduto a tua madre senza pensarci un secondo. Per colpa tua ci hai cacciate.»

«Per favore…»

«Chiederò il divorzio. E la custodia completa.»

Mi voltai.
«Addio, Bill.»

E me ne andai, con Eliza nel cuore. Libera. Forte.

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