Sono stata adottata 25 anni fa – Il mese scorso, mio padre biologico ha bussato alla mia porta chiedendo il 50% di tutto ciò che possiedo

L’uomo alla mia porta aveva un sorriso storto e occhi gelidi. Sembrava una di quelle persone temprate dalla vita, abituate a combattere con le mani nude contro il mondo, e a perdere spesso.
Appena suonò il campanello, avevo appena messo a dormire nostra figlia di quattro anni per il pisolino del pomeriggio. Presi un canovaccio per asciugarmi le mani e andai ad aprire.
Quando vidi chi era, mi si gelò il sangue.
— «Emily», disse con voce ruvida. «Sono io. Tuo padre.»
Rimasi immobile. «Cosa?»
— «Tuo padre», ripeté più forte, come se aumentare il volume rendesse le sue parole più credibili. «Non mi riconosci?»
— «No», risposi freddamente, afferrando lo stipite della porta. «Non ti riconosco.»
Mio padre biologico era un fantasma del passato, una figura che avevo scelto di cancellare. E ora si presentava così, arrogante, sul mio portico.
— «Va bene», disse scrollando le spalle. «Non sono venuto per scambiare cortesie. Sono venuto a prendere ciò che mi spetta.»
Il mio stomaco si strinse.
— «Di cosa stai parlando?»
— «Della metà», disse. «La metà di tutto. La metà della tua vita.»
— «Ho saputo che ti va bene. Bella casa, bella macchina, sei sposata, con una bambina…» notò il mio anello.
— «È ora che condividi la tua fortuna… con l’uomo che te l’ha resa possibile.»
Lo fissai, sconvolta.
— «Scusa?!»
— «Non fare la finta tonta», disse appoggiandosi allo stipite.
— «Senza di me, non saresti qui. Non saresti stata adottata da quella famiglia ricca. Io ti ho dato quella possibilità abbandonandoti. Ora tocca a te. Voglio il 50% di tutto. Bella villa, a proposito.»
Quelle parole mi colpirono come uno schiaffo.
Incrociai le braccia, cercando di mantenere la calma.
— «Tu mi hai abbandonata. Sai cosa ho passato? Hai idea—»
Mi interruppe con un gesto della mano.
— «Risparmiami il melodramma. Ora stai bene, no? Ecco cosa conta. E prego, di nulla.»
— «Sei folle», dissi, la voce tremante.
— «Non puoi presentarti dopo venticinque anni e pretendere qualcosa.»
Fu in quel momento che mio marito, Daniel, arrivò nell’ingresso con passo calmo ma deciso.
La presenza di Daniel fece svanire l’arroganza di quell’uomo. Il sorriso sparì.
— «Chi è?» chiese Daniel, con tono calmo ma protettivo.
— «Mio padre biologico», dissi con disgusto.
— «A quanto pare, pensa che gli devo metà della mia vita perché mi ha ‘lasciata andare’.»
Daniel sollevò un sopracciglio.
— «Hai un bel coraggio a presentarti qui», disse con voce tagliente.
— «E con una richiesta del genere.»
— «Non è irragionevole», provò a difendersi.
— «Senza di me, lei non avrebbe avuto quella possibilità—»
— «Possibilità?» lo interruppe Daniel avanzando.
— «Senza di te, ha sofferto. Non è stata adottata da una famiglia ricca. È finita in affidamento, da una famiglia all’altra. Una la trattava come una serva, a malapena sapeva tenere in mano uno straccio. È scappata a sedici anni con niente addosso. Questo è ciò che le hai lasciato.»
L’uomo deglutì, visibilmente colpito.
— «E non ha ricostruito la sua vita da sola», aggiunse Daniel.
— «Ci siamo conosciuti nello stesso orfanotrofio. Anche i miei genitori mi avevano abbandonato. Eravamo bambini. Ci siamo promessi che avremmo sopravvissuto, costruito una vita degna e ci saremmo ritrovati. E lo abbiamo fatto. Ogni euro, ogni mattone di questa casa, ogni sorriso, ce lo siamo guadagnati. Tu le hai lasciato solo cicatrici.»
Daniel fece un passo avanti, la voce bassa e tagliente.
— «Non le hai dato nulla. Né amore. Né supporto. Né rispetto. E di certo non avrai la sua gratitudine o i suoi soldi. Ora sparisci da qui prima che chiamiamo la polizia.»
Aspettò che l’uomo si allontanasse prima di chiudere la porta. Il silenzio che seguì fu assordante.
Mi misi a piangere mentre Daniel mi stringeva forte.
— «Sei la donna più forte che conosca», sussurrò.
— «Non merita nemmeno un secondo del tuo tempo. Questa vita l’hai costruita tu. Noi l’abbiamo costruita.»
Annuii, appoggiando il viso sul suo petto.
— «Hai ragione», sussurrai. «Non gli devo niente.»
Daniel mi guardò negli occhi e mi sorrise con decisione.
— «Perché tutto ciò che sei… te lo sei guadagnato. E nessuno, soprattutto lui, potrà mai togliertelo.»